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Stadio Giovanni Celeste: Numeri & Nostalgia

A vederlo così il cuore si stringe e la voce inevitabilmente resta strozzata in gola. I cancelli del Celeste sono arrugginiti, le erbacce ne circondano il perimetro, persino le scritte sui muri ormai sono sbiadite. Gli apprezzabili sforzi dell’Fc Messina hanno apportato qualche sensibile miglioria, ma quindici anni di incuria e disinteresse si decifrano nitidi, risalendo il viale Gazzi, volgendo verso destra lo sguardo.
Dentro lo stadio, è custodita la storia non solo calcistica della città dello Stretto, abbandonata a se stessa, come si è soliti fare da queste parti con le cose più belle. Altrove ci avrebbero aperto un museo, valorizzando un cimelio enorme per dimensioni e identificazione con territorio. All’interno, nella stanza dedicata alla memoria di Ciccio Currò, 60 anni da massaggiatore con la biancoscudata nel cuore, campeggiano le foto di Schillaci, Zeman e Franco Scoglio, Zampagna, Portanova e Storari.

Sono i fotogrammi di una pellicola che racconta annate esaltanti,

testimonianze tangibili di giornate indimenticabili. Nel 1964 Omar Sivori era il “re del tunnel”, Messina per la prima volta in Serie A. Quando, il 19 aprile, i destini si incrociarono fu l’apoteosi dell’assurdo. La gara del fantasista oriundo durò appena 23 minuti: espulso lui, trafitta dall’autorete di Caocci la Juventus. La gente che aveva pagato per vedere i bianconeri, finì per spellarsi le mani, inorgoglita dall’impresa dei giallorossi. Narrazioni di riscatto sociale, in una terra saccheggiata da povertà ed emigrazione.
La cronaca diventa leggenda se si aggiunge il dato che la Vecchia Signora, in 4 precedenti, a Messina non ha vinto in campionato. In totale fanno tre pareggi (Due nel nuovo Franco Scoglio) e una sconfitta. D’altronde ha funzionato così per quasi un secolo: pochissimi sconti, fino al 5 giungo 2004. Data del ritorno in A, ultima esibizione nel teatro dei sogni. Di fronte al Como già retrocesso, lo spettacolo fu sinfonia perfetta, in cui si inserirono gli assoli di Arturo Di Napoli e Alessandro Parisi.
Il 3-0, coronò con la promozione e un torneo straordinario in cui, tra le mura amiche, i siciliani non persero mai. Ci vollero il salto di categoria, il trasferimento al San Filippo, Zeman e il Lecce, capace di imporsi 1-4, per interrompere una magia lunga 42 match e iniziata il 28 settembre 2002 proprio con i salentini, nell’occasione vincitori per 0-2.
Ancora meglio si fece  tra la Serie C1 del 1983/84 e la B del 1987/1988. Allora le partite interne senza sconfitte furono addirittura 58, con 43 vittorie, 15 pareggi, 89 gol fatti, appena 22 subiti e la ciliegina sulla torta del successo sulla Roma per 1-0. Fu la notte di Orati e di una squadra che, trascinata da 30mila cuori, pur con una differenza di due categorie sul groppone, piegò i Capitolini. Boniek, Bruno Conti e compagni, mesi più tardi avrebbero alzato il trofeo, giusto per dare una dimensione concreta del trionfo.
Spalti stracolmi, cori incessanti e una simbiosi perfetta tra calciatori e tifosi. Petardi, fumogeni e coreografie aprivano domeniche di estasi collettiva e risultati scontati. I tavoloni in legno battevano rumorosi sotto i piedi di supporter impazziti. Per motivi di sicurezza, sarebbero poi stati sostituiti dai gradoni, mentre la capienza di 12mila spettatori, in tempi moderni, aveva ridotto il numero, non la qualità di un sostegno con pochi eguali nello stivale.
Prima dell’ospedale di Crotone e dei balconi di Castellamare di Stabia, furono quelli di Messina ad attirare la curiosità dei cronisti nazionali durante le loro escursioni settimanali. Nei palazzi accanto al Celeste, famiglie intere pranzavano con vista stadio, pronte ad accogliere quanti, non trovando biglietti, suonavano il campanello e chiedevano “Asilo Sportivo”. Perfetti sconosciuti, uniti dalla tipica solidarietà meridionale e da un legame viscerale e inspiegabile col pallone.
La ricetta per l’imbattibilità era un mix di semplicità e organizzazione. Di società affidabili e personaggi chiamati a dar fondo a ogni energia per ricompensare l’affetto di una piazza che amava alla follia. Nell’impianto di via Oreto, i valori si ribaltavano e i siciliani da vittime designate, spesso e volentieri si trasformavano in spietati carnefici. Gli scettici chiedano al Milan di Sacchi, in vantaggio con Van Basten e fermato sull’1-1 da Pierleoni. Era la Coppa Italia 1988/1989: personaggi a confronto, storie di copertine rubate.

L’elenco è infinito e potrebbe proseguire per mesi. Basta fare un giro in città e accendere la miccia della discussione: si rischia di non uscirne più. Ognuno ha ricordi e beniamini, racconti che inevitabilmente stridono con la miseria attuale. Mentre si preme il tasto rewind, si accavallano le ennesime polemiche sulla gestione degli impianti e i risultati condannano la città all’anonimato.
Al Celeste non si gioca più. Al momento, al massimo ci si allena. Dal 2004 qualcuno ci ha provato: fuochi di paglia, illusioni di una notte sciolte come neve al sole all’arrivo delle prime difficoltà. Intanto si è parlato di allacci di corrente elettrica abusivi, mura pericolanti e ambienti fatiscenti. Quindici anni di chiacchiere a fiumi e poco pallone. L’unica cosa di cui, nell’universo dei paradossi, ci sarebbe stato davvero bisogno.

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