Sasà Sullo, sventola fiera una bandiera mai ammainata
Rivederlo, magari in tuta e con l’atteggiamento compassato farà un certo effetto. Sasà Sullo è tornato in riva allo Stretto nelle vesti di allenatore e la memoria si riavvolge in fretta. In testa, scorrono i frame di una carriera trascorsa a dettare geometrie e imbeccare gli attaccanti. La precisione millimetrica che gli valse il soprannome di professore, il rigore scagliato sotto la traversa per mandare il Catania all’inferno e Messina in paradiso. E poi la maglia di Superman sfoggiata ancora davanti agli etnei, con intorno un Celeste in visibilio. La lista è lunghissima e a furia di leggerla tutta gli occhi si gonfiano di lacrime e il cuore di ricordi. Sullo, d’altronde, ha messo la sua intelligenza al servizio della causa giallorossa spingendo la città prima in B, poi addirittura in Serie A, dove neppure il più ottimista dei tifosi avrebbe osato traghettare la fantasia.
Anche tra gli dei del pallone l’esordio era stato indimenticabile, la firma sul 4-3 alla Roma, la vittoria a San Siro, erano apparsi il giusto premio a una carriera trascorsa a dispensare lampi di classe in deserti polverosi. Quando i tempi della raccolta sembravano maturi, però, la malattia costrinse il capitano a guardare la nave da lontano. I suoi compagni sul prato verde, lui tra i corridoi degli ospedali, il filo rosso rimaneva una battaglia combattuta su due fronti e da vincere assolutamente. Quelli del 2005 furono mesi di apprensione e fiato sospeso, dell’affetto silenzioso di una città solitamente confusionaria, stretta, invece, attorno al suo calciatore più rappresentativo.
Il primo sospiro di sollievo arrivò solo il 29 maggio, ultima di campionato. Messina e Livorno erano salve. Nel momento in cui il quarto uomo alzò il tabellone luminoso, Cristiano Lucarelli già capocannoniere del torneo. Fu allora che Sullo rientrò in campo, sostituendo D’Agostino. Una manciata di minuti, accompagnato da un lunghissimo applauso in grado di stoppare persino i cori della Curva sud. «Non ero completamente fuori pericolo, ma avevo giocato 17 partite e per un napoletano scaramantico come me, non è un numero troppo simpatico, quindi chiesi al mister di farmi fare un’altra presenza». Carmine Coppola non ci pensò un istante si tolse la fascia e gliela consegnò, con buona pace della violazioni al regolamento. «Io l’ho solo ricevuta in prestito. Lo sanno tutti che il capitano di questa squadra è Sasà, non vedo l’ora se la riprenda definitivamente». Sarà la fotografia più emozionante di una storia d’amore lunga sei stagioni e contraddistinta da sensazioni forti e pugni nello stomaco, sferrati a freddo e complicati da incassare. Ci saranno gol e promozioni, retrocessioni e la cittadinanza onoraria, consegnata a chi meglio d’ogni altro ha saputo farsi ambasciatore per l’Italia della messinesità più autentica.
Play intelligente, capace di abbinare qualità notevoli a un ottimo senso del gol, Sullo in tribuna incontrava tanti fan e le critiche di qualche insaziabile palato raffinato. Di vederlo un giorno in panchina, però, erano tutti convinti. Giampiero Ventura più degli altri. I due si conosceranno durante una parentesi biancoscudata non indimenticabile e per anni non si separeranno più. L’allievo e il maestro. Bari, Torino e poi la Nazionale presa in mano nel momento peggiore. Il Chievo coinciderà con il momento dei saluti, farà emergere l’esigenza di mettersi in proprio. Sullo ci proverà a Padova e durerà 23 partite. Ora il destino ha riaperto una porta socchiusa, prospettando un’offerta in cui scegliere è un mero esercizio di retorica. Messina lo ha richiamato e il resto inevitabilmente conterà sempre un po’ di meno.