Messina, il punto più basso: lo stato vegetativo permanente della biancoscudata
Nonostante fallimenti, retrocessioni ed umiliazioni sul campo, i giallorossi hanno toccato il fondo più basso ed oscuro della storia recente.
“Più in basso di così, c’è solo da scavare”, cantava Daniele Silvestri nel suo evergreen Salirò del 2002. Oggi, a distanza di oltre vent’anni, l’artista potrebbe benissimo dedicare una versione alternativa del pezzo dedicandola interamente al Messina. Proviamo a stemperare la tensione ma questo rush finale di 2024 ci sta regalando alcune delle pagine più nere della centenaria storia della Biancoscudata. Perché di momenti bui ne abbiamo vissuti tanti, specialmente dalle retrocessioni in Serie A in poi, ma questi ultimi mesi rappresentano sicuramente il punto più basso per una società che porta il glorioso nome di Messina.
Qualcuno potrà citare i fallimenti, la lunga lista di personaggi di basso livello che si sono succedute alla presidenza o le sconfitte memorabili in giro per i “paesini” del sud Italia. Eppure questa stagione calcistica le batte tutte per un semplice motivo: la crisi irreversibile del Messina è la naturale conseguenza della volontà di questa proprietà. Non c’è alcun evento esterno come causa scatenante: penalizzazioni, masse debitorie incontrollate, mancanza di liquidità. Il Messina di oggi è in uno stato vegetativo irreversibile perché la famiglia Sciotto ha voluto tutto questo anno dopo anno. Lo 0-3 maturato contro il Foggia è l’ennesima conseguenza di un “fare calcio” senza avere la voglia e la capacità anche minima di “fare calcio”. Le scuse stanno a zero e, finalmente, anche la lunga lista degli alibi si è esaurita. Ne abbiamo sentite tante in questi anni: dai complotti istituzionali contro il Messina, agli errori arbitrali decisi a tavolino sino ai triti e ritriti mantra del bel gioco, delle asticelle che si alzano e dell’innata capacità di non farsi mettere sotto da nessun avversario.
L’unica verità è che i miracoli sportivi non avvengono ogni anno. Il Messina si trova in Serie C per una serie di fattori: dall’aver avuto grandi leader nello spogliatoio al lavoro di tutti coloro, innamorati di questi colori, nelle retrovie hanno fatto i salti mortali per tenere su la baracca senza bisogno della luce dei riflettori, dei selfie in campo o di un semplice grazie. Poi ci sono le disgrazie altrui che, in terza serie, sono all’ordine del giorno. Dai fallimenti alle penalizzazioni, i giallorossi sono riusciti sempre a rimanere a galla battendosi forte il petto del “noi paghiamo gli stipendi”. In questa stagione la musica non è cambiata con Turris e Taranto a recitare la parte di chi sta peggio di noi.
La verità, però, è che il campo è specchio fedele della società. Negli anni passati i valori di grandi uomini, prima che calciatori, hanno limitato i danni ma oggi questo non è possibile. Il Messina non ha una guida, non ha punti di riferimento, non ha alcun tipo di interlocutore. Una scatola vuota senza alcun valore perché il nome ed il blasone sono ormai persi da parecchi anni. Qualcuno, tempo fa, parlava di brand facendo lezioni di marketing in conferenza stampa. Dobbiamo dire che quella lectio magistralis ha portato i suoi frutti perché oggi il Messina è appetibile a livello internazionale o, per lo meno, questo è quello che viene fatto intendere dalle voci di corridoio da sei mesi a questa parte.
Preliminari, fondi esteri, progetti mirabolanti. Nello sport, come nella vita, contano i fatti e noi abbiamo il dovere di non abbandonarci ai voli pindarici. Messina ha smesso di sognare e di avere ambizioni perdendo anche quella passione che la legava alla propria squadra di calcio. Basterebbe poco per ritrovare un minimo di serenità ma prima di tutto servirebbero degli ingredienti oggi assenti: sincerità, trasparenza e dignità.
Tutto è finito nel dimenticatoio complice un’apatia generale che si riflette a 360 gradi. Per questo motivo non stupiscono le dimissioni di un direttore sportivo inesistente, l’assenza di un direttore generale, un allenatore che si permette di stare in silenzio continuo magari in attesa di farsi esonerare. E poi c’è il presidente che, insieme alla sua famiglia, si è sempre trincerato dietro un amore sbandierato verso questa maglia. Il tempo delle scuse è finito così come quello delle giustificazioni. Da agosto fino ad oggi continueremo a ribadire quanto sia importante salvare la Serie C, unico patrimonio di questa società, ma in fin dei conti forse anche i miracoli sono finiti a queste latitudini.