Messina-Catania, storia di un derby sull’orlo del baratro
L’ultima volta fu un nubifragio. Il meteo c’entra fino a un certo punto. Sotto una pioggia battente, i sogni del popolo messinese si infransero su un pallone mai messo in mezzo da Milinkovic. Come nel più classico dei paradossi, a punire i giallorossi ci pensò Demiro Pozzebon. Appena un mese prima era scappato dallo Stretto con la barca sul punto di affondare, si accasò sotto l’elefante. Uno schiaffo in pieno volto. Dopo di lui, a cinque minuti dal fischio finale, la beffa definitiva la siglò Barisic, altro ex, ma ben meno inviso al pubblico se paragonato al compagno di reparto. All’appello della neonata dirigenza messinese, in una giornata di fine febbraio, risposero in tanti.
Quel giorno tornarono a casa sconfitti, bagnati fradici, ma colmi di speranza. Lucarelli all’epoca stava portando a termine una missione impossibile, l’addio di Stracuzzi, al culmine di numerosi tira e molla, era ormai cosa fatta. Proto, dall’altro lato, prometteva grandi cose. Bastarono un paio di parole al miele, perché gli scioperi ai cantieri, le docce con l’acqua fredda e gli stipendi arretrati assumessero di colpo la forma del miraggio. Ricordi già distanti di un altro periodo buio, fortunatamente ormai alle spalle.
L’illusione durò un paio di mesi, si tradusse in una campagna abbonamenti al buio, fondata esclusivamente sulla fiducia. Il risveglio fu un trauma, un cazzotto sferrato da Mike Tyson, capace di abbattere anche chi aveva saputo resistere a tutto. La squadra all’ultimo istante non venne iscritta in Lega Pro, le ambizioni di cadetteria, la programmazione e i propositi di belligeranza si dissolsero nell’ennesimo pullman diretto a Troina. Da allora le cose non sarebbero più tornate le stesse. Inutile girarci intorno. In molti misero il punto esclamativo alla loro voglia di Messina, smisero di riconoscersi in un pallone in cui il giudizio del campo valeva zero, sovrastato dalle carte dei tribunali e da conti costantemente in rosso.
Messina: Pietro Sciotto, ennesima puntata di un ritornello già sentito
Gli stessi di cui oggi, col derby alle porte accusa il colpo il Catania. Anche dall’altra parte le cose non andarono più benissimo. Una squadra gagliarda, un po’ come la vecchia banda di Lucarelli, gioca per amor di firma e città. Eppure è consapevole che i gol di Moro, potrebbero non bastare a evitare il baratro. Gestioni scellerate e spese folli hanno presentato il conto e i soldi per pagarlo semplicemente non ci sono. La preziosa matricola già tirata per i capelli in diverse occasioni rischia stavolta di scomparire davvero e con lei il vanto più grande della tifoseria rossoblu.
Il derby vinto domenica scorsa rimane una bellissima pagina di sport, ma impressione diffusa è che la partita salvezza si giochi altrove e il terreno di gioco c’entri fino a un certo punto. Dire chi stia peggio insomma è giudizio opinabile, cambia in un battito di ciglia a seconda dei punti di vista da cui parte l’analisi. Provare per credere. Il Messina in tre giorni ha incassato l’ennesimo addio di Sciotto, cacciato Capuano, già sostituto di Sullo, e messo in vendita la società. Il tutto dal basso di un ultimo posto che non concede alibi e pretende punti, anche da un avversario storicamente rognoso
E’ questa la triste cornice di un derby capace in passato di regalare sogni e accendere emozioni e oggi, invece, relegato a misero scontro per la sopravvivenza in terza serie. Oltre la partita, in palio c’è la dignità. Si dice così, ma solo rendersene pienamente conto aiuterebbe a venirne fuori.
Claudio Costanzo