La Camera dice basta: da Rimini a Tirana sognando il Messina
Il calciatore nato in riva allo Stretto ha da poco appeso le scarpe al chiodo: “Vorrei che un bambino delle giovanili arrivasse dove non sono riuscito io”
Una valigia da girovago piena di maglie ed emozioni urta su un sogno strozzato in gola, l’ultimo desiderio rimasto nel cassetto. “Diverse volte si è parlato di un ritorno a Messina, la più concreta nel 2008, in B. Ci furono dei contatti, ma alla fine non se ne fece nulla. Attraversavo il momento migliore della carriera, il Rimini era una società ambiziosa e i giallorossi, invece, al termine di quel campionato, non si iscrissero al successivo”. Classe ’83, Giovanni La Camera nei giorni scorsi ha appeso le scarpette al chiodo: un storia su Instagram per raccontare di una decisione sofferta, sintetizzare un pensiero doloroso eppure inevitabile. “Avevo perso gli stimoli, ormai non mi divertivo più – spiega – per chi ha costruito tutto sulla passione è un aspetto fondamentale”.
Niente dura in eterno, mentre i progetti si accavallano e il futuro, adesso, si scrive in sala: “Ho aperto un ristorante a Milano, dove attualmente vivo, si tratta di un vecchio pallino e finalmente ho trovato le persone giuste per trasformarlo in realtà”. Reinventarsi, vedersi a proprio agio in vesti diverse, tuttavia, richiederà tempo: “Il calcio mi ha dato tantissimo, rimane la parte principale della mia esistenza. Ho realizzato il sogno di ogni bambino e mi dispiace solo non averlo fatto per la città e la squadra per cui ho sempre tifato. Tornare da avversario era sempre difficile, figuriamoci segnare”.
Emozione con la quale si è ritrovato a fare i conti: “In Serie B, l’ultima partita del torneo, faceva caldissimo, loro schieravano molti giovani e in panchina li guidava Nello Di Costanzo, mi arrivo il pallone e tirai in porta. Andò bene”. L’aneddoto più simpatico, però, è un altro: “Venni con la Juve Stabia e vincemmo 0-3, in tribuna erano i presenti i miei genitori e avevo portato i cannoli per farli assaggiare ai ragazzi della squadra. Contemporaneamente vedevo i giocatori biancoscudati sconfortati e provai una sensazione strana. Ero in imbarazzo e i dolci mi caddero a terra”. Ci ripensa oggi e ride.
Il biancoscudato in cima alla lista, ma anche l’occasione sfumata di debuttare in A: “Mi voleva il Brescia, ma bisognava attendere l’ultimo giorno di mercato, incastrare diversi trasferimenti per liberare la casella in cui mi sarei inserito. Qualche meccanismo si inceppò e saltò l’accordo”. Il massimo campionato Giovanni l’assaggerà anni dopo in Albania: “Andai al Partizan Tirana, con Iuliano e Moggi, era un contesto particolare, perché parliamo di una delle formazioni più importanti del Paese con trenta scudetti e l’opportunità di disputare i preliminari di Champions, se avessimo vinto il campionato. Per me era come chiudere un cerchio”.
L’album dei ricordi nel terzo millennio si chiama bacheca e, smartphone in mano si sfoglia in fretta: il touch illumina le facce degli amici, giovani destinati a diventare campioni: “Radja Nainggolan è un amico eccezionale, il valore del calciatore non lo scopro io. Lo conobbi quando era a Piacenza, poi a Roma abitavamo a 200 metri di distanza, uno di fronte all’altro. Con Barella ci incontrammo a Como e aveva qualità fuori dalla media, ma se dovessi scegliere un nome, dico Ricchiuti. Adrian distribuiva colpi e carattere, ti aiutava in campo e nel quotidiano per qualsiasi problema”. La nostalgia ha già preso il sopravvento, coincide con l’augurio più sentito: “Mi piacerebbe rivedere il Messina ad alti livelli e qualche promessa esordire al termine della trafila nel settore giovanile. Realizzare il desiderio che era stato mio”.
di NANNI SOFIA