Giulio Ebagua: “Io, bomber di Varese che giocavo in difesa”
Sulle spalle larghe si porta Varese e il numero cinquanta: “L’ho scelto perché è il primo obiettivo che mi sono dato quando ho deciso di tornare. Per tagliare quel traguardo, adesso, mi mancano uno o due gol“. L’altra missione di Giulio Ebagua, a 35 anni meno qualche mese, si chiama salvezza, in Serie D. Non è uno scherzo, piuttosto “una questione di cuore. Mi volevano in tanti, Fc Messina compreso, avrei ritrovato la Sicilia e il mio amico Ciccio Lodi con cui ho giocato a Catania. E’ arrivata, però, la telefonata dei biancorossi e non ho esitato un attimo”.
Difficile prevedere un finale diverso: “Si tratta della città in cui ho fatto meglio, grazie alla quale mi sono affermato nel calcio. Per me è il Real Madrid e aiutarli in un momento complicato significa restituire un po’ di quanto mi è stato dato”. Fu il periodo più felice, scandito da valanghe di reti e dalla spensieratezza tipica dei giovani: “Eravamo un gruppo granitico. Uscivamo in quindici ogni sera e la mattina successiva, in campo, correvamo il doppio. Non era esattamente un atteggiamento da professionisti, ma fu la nostra forza. Sapevamo di non poter mollare. Se non avessimo ottenuto risultati all’altezza delle aspettative, giustamente, ci avrebbero rotto le scatole e impedito di stare giro”.
In panchina, ironia del destino, oggi, ha ritrovato Neto Pereira, gemello del gol, e, soprattutto, mister Ezio Rossi: “Nelle giovanili del Toro facevo l’attaccante e non mi filava nessuno. Un giorno, per sostituire un compagno, mi schierarono difensore centrale e terzino sinistro. Si rivelò un colpo di fortuna: bastò mezzora, mi notò e mi promosse coi grandi. Quando l’ho incontrato di nuovo gli ho detto: avevi ragione tu, alla fine sono arrivato”.
Di granata si vestirà di nuovo nel 2011, giungerà da pezzo pregiato del mercato. E’ un altro flashback. Ci ripensa e sorride: “Fui l’acquisto più costoso della sessione, avendomi cresciuto, avrebbero potuto risparmiare un po’ di soldi”. Sei mesi più tardi si trasferirà alle pendici dell’Etna. Stavolta è davvero Serie A: “Avevo lottato tutta la vita per riuscirci e nel momento in cui il sogno si è materializzato, sicuramente avrei dovuto gestirla meglio, invece, ha prevalso l’appagamento, la sensazione di aver chiuso un cerchio. Avevo perso la fame e gli stimoli, la purezza di giocare a calcio. Ci sarebbero state altre occasioni per misurarmi nel palcoscenico più ambito, ma non ci sarei tornato per questioni di trattative e ingaggio. Io all’epoca, e forse sbagliando, non ero disposto a ridurmelo”.
Bari, Vicenza, Pro Vercelli, persino gli Emirati Arabi e il Bisceglie in Lega Pro. Poi Resta svincolato e decide di smettere: “Non mi divertivo più”, risponde secco. Il cellulare, però, squilla, il Varese lo chiama e il finale si trasforma. “Giocherò finché sarò felice, in futuro magari farò l’allenatore. Non pensavo potesse essere la mia strada, ma considerando quelli che ho incontrato, credo di poterlo fare anche io”. Esplode in una risata, nello scherzo, in fondo, si nasconde la verità.
Claudio Costanzo