Il Messina torna in Serie C: il bello di oggi e più ancora quello di domani
Le emozioni, le lacrime, la sofferenza. Poi la gioia: irrefrenabile, liberatoria. La partenza in sordina, la necessità di rimontare per mantenere fede alle aspettative di una rosa costruita per vincere. Scorrono veloci i frame di un campionato in cui non esisteva alternativa a una promozione finalmente reale. Non lo avrebbe accettato Messina, non lo meritava il presidente Sciotto, al quale – al netto degli errori – va riconosciuto di non aver mai lesinato investimenti e spese. La stracittadina d’andata aveva fatto suonare troppo in fretta le campane a morto, quella di ritorno sotto un cielo dalle tinte scozzesi ha rappresentato il punto di svolta definitivo. Sono queste le due facce del torneo, inutile girarci intorno. I momenti in cui tutto poteva, con identica facilità, decollare o precipitare.
Da lì, l’Acr Messina ha preso il largo con buona pace di recuperi e punti in sospeso. La continuità è stata arma decisiva, fondamentale per scandire un passo impossibile da reggere per concorrenti volenterose, sebbene, per motivi diversi, incompiute. La fortuna ha completato il pacchetto, donata in buone dosi a chi ha dimostrato di essere più audace. L’arrivo di Caruso, più ancora quello di Cunzi, salvifico quando Addessi ha dovuto alzare bandiera bianca, qualche episodio e, soprattutto, il Covid miracolosamente schivato. Un grande spirito di gruppo e l’affetto della gente si sono rivelati tasselli importanti tanto quanto i valori tecnici, comunque abbondanti.
Arcidiacono, Foggia, Aliperta, Sabatino e Lomasto. Ma pure Bollino e i giovani Cretella e Giofré. La mano sapiente del direttore Cocchino D’Eboli, vecchia volpe in cerca di riscatto, come quella di Raffaele Novelli, bravo a dispensare cultura del lavoro e grosse quantità d’acqua da gettare sul fuoco dell’entusiasmo. Sentimento necessario, ma capace di stritolare se iniettato in dosi eccessive. La barca ha remato compatta nella stessa direzione, compiendo un’impresa quasi doverosa, non per questo scontata.
L’Acr Messina ha impiegato quattro anni per tornare tra i professionisti, adesso può alzare le braccia al cielo, esultare per un traguardo troppo a lungo atteso e adesso raggiunto. I biancoscudati si erano congedati dalla Serie C a Vibo Valentia. Lo 0-0 della banda guidata da Lucarelli venne celebrato con una festa, ultimo tassello di un’annata disastrata e indimenticabile. Sembrava l’inizio di un nuovo, entusiasmante viaggio, si rivelò l’ennesima porta per l’inferno. Acqua passata, ora è tempo di volgere lo sguardo all’orizzonte. C’è da risolvere, e urgentemente, la questione stadio. La pandemia ha, infatit, implementato le distanze tra squadra e città, burocrazia e lotte intestine hanno fatto un resto, di cui nessuno francamente sentiva il bisogno.
Si dovrà costruire una formazione in grado di riportare la chiesa al centro del villaggio, di incutere timore agli avversari, di andare su ogni terreno con la consapevolezza di dover far male. Il campionato prospetta derby e sfide storiche, Palermo e Catania su tutte, e al Massimino come al Barbera i tifosi non meritano di incassare figuracce. Magari non la presenza fissa nei quartieri nobili della classifica, ma la capacità di dare fastidio a chiunque è ciò che a buon diritto pretendono i tifosi. Il prossimo passo che una società lungimirante, archiviata la sbornia di oggi, deve essere in grado di donare loro.
Claudio Costanzo