Ciccio Currò, una vita a difesa del Messina
Allenatori, calciatori, presidenti: li ha visti passare tutti. Lui, invece, è rimasto sempre lì, baluardo di messinesità, angelo custode di uno stadio Celeste in cui ha trascorso i momenti più belli della sua vita e tenuto insieme la barca nei giorni del mare in burrasca. Chi non lo ha visto, per ragionevoli motivi anagrafici, ne ha sentito parlare. Esclusivamente bene. A Ciccio Currò, d’altronde, ci si aggrappava per rimettere in sesto i muscoli degli atleti e, soprattutto, quando bisognava tenere unito l’ambiente, respingere le critiche, sacrificare i personalismi per il bene della Biancoscudata.
La maglia prima di tutto, da sudare e onorare: così via Oreto diventava un catino, dove non si perdeva mai e sugli spalti il suo nome veniva usato per battezzare un club di tifosi. Lo raccontò fiero alla Domenica Sportiva, ospite di Sandro Ciotti e Maria Teresa Ruta, espressione verace di un gioco di lì a poco sconfitto da business e quattrini: “Di solito queste cose vengono fatte per altre figure, credo di essere l’unico massaggiatore al mondo ad aver avuto un privilegio simile”. Oggi, a nove anni dalla scomparsa, il vuoto rimane incolmabile: il passo felpato con cui entrava in campo, l’atteggiamento da generale al servizio esclusivo dello scudo stampato all’altezza del cuore, l’amicizia con IL professore Franco Scoglio e il dottore Ricciardi, compagno di fughe sistematicamente sconfitto nell’istante in cui un calciatore veniva toccato duro e bisognava prestargli soccorso.
Ciccio Currò pretendeva rispetto, restituendolo con buone dosi di interessi: “Un giovedì, in occasione della partitella con la Primavera – racconta Sergio Magazzù, giornalista de La Sicilia – vide uno dei ragazzi entrare in campo al Celeste indossando la maglia di una squadra di Serie A, anziché quella sociale. Lo fermò e lo rimandò nello spogliatoio a cambiarsi: Tu giochi per il Messina”. Un monito orgoglioso, il ruggito del leone per mettere immediatamente le cose in chiaro, diffondere un senso d’appartenenza progressivamente eroso da fallimenti e lotte intestine. Il suo ricordo sopravvive in una stanza tappezzata di foto, naturalmente al Celeste: accanto a lui, ci sono tutti. Gli eroi sbiaditi della prima Serie A, quelli tatuati dell’ultima. In mezzo Totò Schillaci e Zdenek Zeman. Gente a cui su un lettino spoglio ha spiegato schietto l’amore in giallorosso.
Claudio Costanzo