Da “Speravo de morì prima” a Pelé: quando la tv scommette sul pallone
Si parte dal libro di Paolo Condò, si arriva al giorno dell’addio al calcio e alla maglia giallorossa. Un viaggio lungo due anni, gli ultimi nella carriera di Francesco Totti, scanditi da pochi sorrisi e tanta panchina. E’ il periodo del congedo definitivo dalla gente, quello delle liti frequenti con il tecnico Luciano Spalletti e dell’affetto immenso di una piazza a cui ha donato ogni briciolo di sudore e, per la quale, avrà sempre ragione lui. Esce il 19 marzo “Speravo de morì prima”, la serie Tv in sei puntate ispirata al Capitano della Roma e in cui il Pupone viene interpretato da Pietro Castellitto. Dopo il film autobiografico e sentimentale, che ha anticipato di qualche giorno la chiusura delle sale a causa del Covid, è il turno di Sky Atlantic, Now Tv e del piccolo schermo e, naturale quando di mezzo c’è il numero dieci, abbonda la curiosità.
Al di là del canonico trailer, per pubblicizzare la serie si è ricorso a simpatici siparietti in trattoria o insieme a Christian Vieri e Antonio Cassano e, ancora, alla simulazione di un esame, in cui l’attore viene interrogato da un Totti nell’inedita versione di professore, per verificare la capacità dell’allievo di “entrare nella parte”. La prova del dieci si articola nella telefonata con Ilary, nella colazione con la bomba alla crema, in domande cruciali sul compleanno e il primo gol in Serie A. Le risposte varranno a un preparatissimo Castellitto l’agognata promozione, oltre a un regalo speciale: la maglia autografata del proprio idolo.
Totti, così, anticipa Baggio di qualche mese (Divin codino sbarcherà su Netflix prossimamente) e si inserisce nel solco di un genere, sportivo-documentaristico, a cui ultimamente ci stiamo abituando. Ogni piattaforma ha storie di campioni da tramutare in pellicole, basti pensare ad All or nothing Juventus, firmata Amazon, evoluzione di prodotti analoghi dedicati a Manchester City e Tottenham. Su Netflix, invece, spazio a Pelé, il “Re del calcio”, per narrare l’epopea – dal 1958 al 1970, Coppe del mondo incluse – del più forte di tutti. Prima era toccato anche a Carlitos Tevez, Apache aveva condotto le telecamere nei barrio di Buenos Aires, dove il pallone è l’unico appiglio per sfuggire alle grinfie della criminalità.
La costante è il lato umano, le fragilità di personaggi a cui siamo indotti ad attaccare sopra le sembianze dei supereroi. Tra gli esperimenti più riusciti, un posto speciale lo occupa Sunderland ‘Til I Die, con l’occhio di bue concentrato sulle sventure del club inglese, che, però, non scalfiscono l’immenso calore dei tifosi, vicini alla squadra, nonostante il campo regali esclusivamente dolori. Più complessa la trama di The English Game: qui le vicende degli scozzesi Fergus Suter e Jimmy Love, primi calciatori professionisti della storia, si intrecciano con la lotta di classe e la povertà diffusa, tratti tipici del primo novecento, soprattutto Oltremanica.