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Pepo Fiorito: “Tra guantoni e calici, vi racconto il mio secondo tempo”

Il portiere nel 2011 era in forza al Città di Messina, quando finì in coma a causa di un incidente d’auto. Oggi è un affermato sommelier.

L’intervallo, nella vita di Pepo Fiorito, dura lo spazio di una settimana scarsa. Tanto passa dall’incidente in auto al risveglio dal coma. E’ il 2011, il giovanissimo portiere del Città di Messina ha appena aperto gli occhi, cerca il telefonino, scopre di essere circondato da un affetto incredibile. Dietro il vetro del reparto di rianimazione duecento persone pregano, esultano, piangono, ma finalmente di gioia. “Probabilmente senza quel calore non sarei qui a raccontarlo. Sono stati momenti duri, soprattutto per loro. Io ricordo lo schianto e poi il lettino d’ospedale, a chi mi è stato accanto, invece, è toccata la parte maggiore”.

Acqua passata, o meglio vino, perché Giuseppe, come forse non lo hai mai chiamato nemmeno la mamma, ad appena 27 anni è già un affermato sommelier: “Quando non entrai a fisioterapia, mi iscrissi a scienze enogastronomiche. Dopo la laurea, presi la certificazione professionale a tutti e tre i livelli”. Parte lì una scalata costante e inarrestabile: “Ho lavorato in un’azienda vinicola, seguivo l’intera filiera dal grappolo d’uva alla messa in vendita della bottiglia”. La tappa successiva è il Therasia Resort, eccellenza su sfondo eoliano, passerella ideale per le vacanze di star e Vip: “Inizialmente ero l’assistente del food and beverage manager Andrea Prizzi. Lo considero tuttora il mio maestro. A Vulcano, ho conosciuto Diletta Leotta, uscì dalla piscina e tutti si girarono a guardarla”.

E ancora “Con il capitano Daniele De Rossi organizzammo uno scherzo ai miei amici del Fantacalcio”. Genuinità al potere, sebbene la portata principale resta un’altra: “Will Smith, una persona eccezionale. Arrivò e si presentò, dimostrando un’umiltà rara. Gli dissi che lo conoscevo, quasi si sorprese e mi abbracciò. Alloggiava su uno yacht gigantesco, che cambiava colore, eppure si comportava da ragazzo della porta accanto. Il vero principe di Bel Air. Ammise, e mi inorgoglì, di aver bevuto in Sicilia il vino migliore in assoluto”.

Formazione costante e l’obiettivo, non troppo nascosto, di puntare in alto: “Per conoscere il vino devi berne. L’esercizio è fondamentale, funziona allo stesso modo dei balzi per un portiere”. Così il viaggio diventa lavoro, calice in valigia alla ricerca di emozioni e novità: “Ho girato tutta la Regione, con lo scopo di rafforzare il mio backgrund culturale e rimanere aggiornato, dunque mi sono spostato all’estero”. Francia, Bordeaux: “Un’esperienza mistica, sensoriale. Comprendi quanto possa pesare un alimento all’interno del tessuto di un Paese”.

Con buona pace del pallone, scalzato nella graduatoria delle priorità: “Le foto delle promozioni, le gioie con i compagni rimangono immortalate in camera mia e all’interno di giornate memorabili”. Istantanee da tirare fuori quando la nostalgia ti assale: “Del calcio mi tengo le amicizie. Davide Manzo, uno dei miei mentori in campo, mi volle nel Camaro all’epoca della ricostruzione, in Prima categoria e fu un’annata pazzesca. Cappello, Cammaroto, Giglio, Buda Cannuni, mister Michele Lucà in panchina. Era una delle squadre più forti viste in un campionato simile. Vincemmo il torneo con tre turni d’anticipo”.

Dodici mesi più tardi fu anche meglio: “Tanti erano passati nella Messana, li battemmo 2-0 e ipotecammo un’altra promozione. L’arbitro non aveva ancora fischiato e già Alessandro Bonamonte si era colorato la faccia e stava suonando il djambe. Lo guardai come a dire ma che fai?”. Il sorriso si allarga, mentre resta un ultimo dubbio da sciogliere. Parare un rigore o giudicare le proprietà di un vino?: “Il primo è un gesto istintivo, per il secondo ci vuole tanto studio e l’affare si complica”. Allora libri in mano, bagagli pronti e calice in alto, in attesa del prossimo brindisi.

di Nanni Sofia per Messina nel Pallone.