La crisi del calcio giovanile siciliano | Servizio Video
Sono trascorsi oltre 12 anni dai vecchi fasti di un calcio siciliano che vantava, per l’ultima volta nel 2007, Palermo, Catania e Messina, tre dei capoluoghi di provincia più importanti del nostro stivale, nell’elite del calcio professionistico. L’ultimo frammento di una Sicilia che ha contaminato dialetti e tifoserie opposte e divertito al cospetto dei giganti del Nord abituati, per tradizione e gloria, a dominare la scena del nostro calcio. Un decennio, quello che si è appena concluso, che ha ulteriormente ampliato il divario tra professionismo e dilettantismo ed evidenziato un dato quantomeno allarmante: l’assenza di calciatori che rappresentino la Sicilia nelle massime categorie professionistiche.
E in una terra mai banale quale la Sicilia, che non nasconde il proprio amore viscerale per il cal
cio, è inaccettabile che siano soltanto due i calciatori, Ernesto Torregrossa nativo di San Cataldo e il palermitano Antonio La Gumina, a rappresentare una terra che in passato ha sfornato talenti a iosa.
Sembrano lontanissimi gli anni di Giacomo e Giovanni Tedesco, leader e trascinatori in mezzo al campo, delle parate (e a volte anche dei gol!) di Massimo Taibi e Michelangelo Rampulla, delle bordate mancine di Alessandro Parisi, delle geometrie di Gaetano D’Agostino, delle incursioni di Tonino Asta o Tanino Vasari, delle giocate funamboliche di Peppe Mascara, dei gol da “Notti Magiche” di Totò Schillaci, fino ai gol dei vari Emanuele Calaiò piuttosto che di Christian Riganò e Giorgio Corona che nel pieno della maturità calcistica hanno meritato l’onore della ribalta negli anni forse più belli della nostra serie A.
Come sia cambiato il gioco del calcio non è possibile quantificarlo. Dal suo linguaggio, ai regolamenti, al suo stile. La sensazione è che l’avvento smisurato di scuole calcio, perlopiù in Sicilia, abbia inficiato e non poco sull’impoverimento tecnico medio di un settore giovanile oggi più propenso a vendere la propria immagine piuttosto che valorizzare la crescita tecnica del singolo. Se ad una diagnosi di carattere tecnico si va ad aggiungere l’atavica e drammatica situazione dell’impiantistica sportiva, ci accorgiamo che il 2020 è ancora l’anno zero di un problema di difficile risoluzione.
Un trend che ci auguriamo possa invertire, unitamente alla crescita e alla formazione di talenti che già da piccoli, anche lontano dai propri natali, possano degnamente rappresentarci nel calcio che conta. L’auspicio è che il 2020 possa essere l’inizio di un decennio più luminoso per il nostro amato calcio siciliano, che possa rinascere e ripartire dalle sabbie mobili del dilettantismo.
Francesco Casicci